Progetto Studenc
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Stagni e pozzi

Il Carso è una tipica regione dove la popolazione ha avuto da sempre problemi per l’approvvigionamento dell’acqua potabile. Quasi tutto l’altopiano carsico è composto dal calcare, che lascia oltrepassare l’acqua. È dunque una zona ampiamente interessata da fenomeni di carsismo, per cui si presenta quasi completamente privo di una rete idrografica superficiale. Su questo tipo di terreno l’acqua rappresentava una tra le più importanti fonti di sopravvivenza delle persone e degli animali, perciò non è strano che l’uomo desse tanto valore ad essa. Infatti, puliva e si prendeva cura attentamente di ogni fonte d’acqua, che col tempo modificava in cisterna o in stagno per l’abbeveraggio del bestiame. Ovviamente rivolgeva molta importanza a quegli stagni che erano esposti a maggior degrado, perciò più volte all’anno si dedicava alle pulizie del catino, evitando la crescita della vegetazione. Dalla metà del IXX secolo l’uomo cominciò a raccogliere anche l’acqua piovana, dirigendola in pozzi privati o comunali.

Gli stagni, che servivano esclusivamente per l’abbeveraggio del bestiame, erano bacini artificiali o naturali con il fondo impermeabile. In essi si raccoglieva soprattutto l’acqua piovana. Gli stagni artificiali erano scavati nelle vicinanze di avvallamenti e di strade scavate naturalmente dall’acqua piovana. I catini artificiali venivano scavati esclusivamente nel periodo invernale, quando non c’erano importanti lavori da svolgere in campagna. Su un posto scelto vicino al solco dell’acqua dapprima rimuovevano i sassi e le ramaglie, poi scavavano un catino, al quale spianavano il fondo. Alla fine lo coprivano con uno strato impermeabile di argilla. Era anche abitudine battere il suolo di argilla, rinforzandolo. Durante l’abbeveraggio, il bestiame muovendosi e urtandosi sigillava completamente il fondo d’argilla permettendo la raccolta dell’acqua piovana. Gli stagni non avevano un flusso d’acqua naturale, perciò l’uomo doveva prendersi cura di essi, eseguendo periodiche manutenzioni. In certi casi, per facilitare l’accesso allo stagno, ricoprivano il suolo con lastre di pietra. A Malchina, per esempio, c’era uno stagno simile a Glog (area di fronte all’ex caserma della Guardia di Finanza). Si pensa che anche lo stagno di Močilo avesse una simile struttura, ma all’inizio del XX secolo fu completamente rifatto in cemento.

L’acqua negli stagni non era potabile. I Carsolini raccoglievano l’acqua potabile nei pozzi, dove scorreva l’acqua piovana dai tetti e dalle grondaie. A volte, per mantenere l’acqua pulita, gettavano in essa del sale per evitare la riproduzione degli animali (soprattutto vermi). Durante la siccità andavano con i carri a prendere l’acqua nel Timavo a San Giovanni e la portavano a casa nelle botti di legno.

Così era in tutti i paesi del Carso ed anche a Malchina. I Màuhn’ci (abitanti di Malchina) avevano però la fortuna di avere un’altra fonte di acqua potabile, lo Studenc. Lo Studenc non era uno stagno per l’abbeveraggio del bestiame, ma una depressione naturale nella roccia allargata artificialmente, dove scorreva l’acqua piovana e l’acqua che sgocciolava da una fessura nella roccia. Lo Studenc era dunque una sorgente d’acqua potabile.